La filosofia della Trasformazione
05 ago
La filosofia della Trasformazione
- Nel esporre i loro programmi, politici e imprenditori solitamente parlano di “sviluppo” che significa espansione, potenziamento, incremento. Alcuni pensatori ecologisti, all’estremo opposto, propongono il concetto di “decrescita”* suggerendo di diminuire massa, quantità, prezzo, ambizioni industriali perché il pianeta ha limiti oggettivi che non potranno sopportare a lungo la crescita così come oggi concepita. Le due posizioni sono entrambe legittime e rispettabili, anche se la seconda viene spesso derisa dai protagonisti del modello economico predominante. Senza polarizzare il dibattito, diremmo che la soluzione “sta nel mezzo”: la vera sfida del futuro non si chiama “Crescita” bensì “Trasformazione”. Per sopravvivere su questa pianeta, l’uomo deve trasformare nei modi ciò che fa, a partire dalla Politica: la parola chiave è Partecipazione perché in una Democrazia dove il livello di coinvolgimento si dimostra nei fatti basso, i cittadini spostano la responsabilità del cambiamento e perdono fiducia nelle istituzioni.
La filosofia della trasformazione si può applicare in ogni dove.
Nella Parità tra gli individui, ai quali va data una dignità di base soltanto per il fatto di essere vivi: dunque, serve un reddito di cittadinanza uguale per tutti al fine di garantire la Libertà essenziale.
Nella Mobilità, che deve spostarsi di più su rotaia, bicicletta e piedi bandendo ove possibile i mezzi inquinanti.
Nell’Edilizia, in un modo diverso di concepire l’Abitare mettendo al centro la Persona e la comunità, prevedendo fin dalla fase di “regolazione pubblica” spazi comuni e modalità costruttive biocompatibili.
Nell’Energia, dove la scelta delle rinnovabili appare inevitabile e la trasformazione costituisce da sempre il concetto chiave. La prima e sufficiente fonte ha un nome chiaro: il Sole.
Nel Lavoro, che va creato più che cercato, oltre che approcciato in maniera più giocosa e gestito con maggior sicurezza (la trasformazione ha luogo prima nella mente poi nella realtà).
Nelle Aziende e negli Enti Pubblici, dove i lavoratori sono per prima cosa Persone e la partecipazione è più importante della gerarchia; lavorare meno e lavorare tutti sarebbe una buona soluzione alla disoccupazione, alla frustrazione e alla soddisfazione degli obiettivi personali.
Nelle Famiglie, dove va data più importanza alla competenza del “saper essere”** e alla co-responsabilità nell’Educazione dei figli (che non sono i “propri” figli, bensì libere creature dell’Universo).
Nei rapporti tra le generazioni, dove gli anziani devono essere considerati una risorsa preziosa e messi in condizione di testimoniare la loro esperienza di vita. La priorità nella Relazione sta nel contatto diretto di sguardi e corpi fisici, non nello scambio virtuale.
Nella Scuola, che ha bisogno d’essere percepita come una scelta consapevole di crescita (anche spirituale), non come un obbligo. Bloccare i giovani in edifici chiusi ad ascoltare persone spesso non vocate, motivate e quasi mai illuminate quando fuori brilla il Sole è quanto meno “contro Natura”.
Nella Cultura, che ha bisogno di ripartire dalla condivisione nei fatti di alti valori senza voler imporre morali prestabilite ma incentivando al contrario il dialogo. Dal canto loro, le religioni si pieghino alla Spiritualità.
Infine nella riconsiderazione dei ritmi: premiare la “lentezza” e la calma più che la fretta.
* “Breve trattato sulle decrescita serena”, Serge Latouche, Bollati Borlinghieri, 2007** Si veda il manuale “Le chiavi del saper essere”, SBC Edizioni, Ravenna 2012.
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